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TGEAmbiente: il periodico dell’informazione ambientale (EA-nr.4 del 06/08/2015)

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TGEAmbiente: il periodico dell'informazione ambientale (EA-nr.4 del 06/08/2015)

TGEAmbiente: il periodico dell’informazione ambientale (EA-nr.4 del 06/08/2015)

Le 10 proposte per il Green Act. È ufficiale: l’ISDS colpisce l’Italia per i tagli al fotovoltaico. Solar impulse 2, scommessa vinta. Eolico marino, sbloccato a Taranto il 1° impianto Mediterraneo. Exxon sapeva del cambiamento climatico 7 anni prima. Addio petrolio! La plastica green si fa con il gas serra. Sindrome Nimby addio, l’eolico si integra nei ponti. Facciate intelligenti: quella di Chao Chen si chiude a contatto con l’acqua. Smart city: le prove generali si fanno senza umani. Fracking: le emissioni di metano sono ampiamente sottostimate. Fotovoltaico: dopo sospensione DTR arrivano nuove regole. Eolico, in Danimarca il vento ha coperto il 140% della domanda. L’inquinamento atmosferico può innescare devastanti alluvioni.

 

Le 10 proposte per il Green Act

(fonte Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma)

L’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, insieme ai 30 soci del club FREE – Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica – ha presentato a marzo le proposte per dare sostanza al Green Act annunciato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, con l’auspicio che questo provvedimento rappresenti un deciso cambio di marcia, allineando le politiche italiane a quelle più avanzate emerse in molti altri paesi.
Sintesi proposte:

  1. Promuovere l’economia circolare
  2. Rafforzare l’industria “green” in Italia
  3. Carbon tax
  4. Far decollare la mobilità elettrica
  5. Puntare sulla riqualificazione spinta del parco edilizio
  6. Mettere a valore il patrimonio forestale nazionale
  7. Promuovere un nuovo mercato elettrico
  8. Semplificare le rinnovabili
  9. Semplificare la microcogenerazione
  10. Valorizzare gli impianti rinnovabili esistenti

 

È ufficiale: l’ISDS colpisce l’Italia per i tagli al fotovoltaico

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Il Ministero dello Sviluppo Economico aveva spacciato l’uscita dell’Italia dal Trattato sulla Carta dell’energia (ECT) come un atto di spending review. Ma il motivo è un altro: per la prima volta nella sua storia, il nostro Paese si trova invischiato in un ISDS, il temuto e opaco sistema di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati che oggi è pietra dello scandalo nel negoziato sul TTIP.

Le prove, scovate dalla campagna Stop TTIP Italia, sono reperibili sul sito dell’ICSID, il tribunale della Banca Mondiale che ospita casi di arbitrato internazionale. Qui si può osservare tutta la timeline del processo intentato da tre investitori – la belga Blusun S.A., il francese Jean Pierre Lecorcier e il tedesco Michael Stein – al nostro Paese. Fra l’altro, Lecorcier è indagato in Puglia per riciclaggio di denaro sporco tramite investimenti sulle rinnovabili. Il reato contestato all’Italia, invece, riguarda i sussidi al fotovoltaico. In un primo momento si era pensato a quelli contenuti nello Spalma Incentivi, la cui legittimità è stata contestata ieri anche dal Tar del Lazio. Ma la misura, contenuta nel Decreto Competitività convertito in legge nell’agosto 2014, sembra troppo recente, anche se annunci di ricorso all’arbitrato internazionale sono arrivati anche in quel caso. Potrebbe trattarsi invece di una denuncia legata al Decreto Romani del 2011. Il tribunale si è costituito infatti il 12 giugno 2014, due mesi prima della firma sul Decreto Competitività, con la francese Dentons Europe come consulente di parte per gli investitori. Altro indizio interessante: la Blusun S.A. è proprietaria in Italia della Eskosol per il 50% (l’altro 50% lo detiene Unicredit), società che ha affidato a Siemens la costruzione di un impianto fotovoltaico a Brindisi, investendo 400 milioni di euro in quella che doveva essere la più grande fattoria solare d’Europa. Un progetto bloccato dai tagli di Romani.

Le carte processuali non sono pubbliche, e potrebbero non esserlo mai. Anche quando l’Italia, come è possibile, dovrà pagare risarcimenti per quel provvedimento. L’ISDS funziona così, fuori dal controllo democratico, gestito da corti di arbitrato private composte da esperti di diritto commerciale che, a porte chiuse, decidono se l’operato dei governi è conforme alle regole del commercio internazionale. E questo vale per qualsiasi normativa a tutela dell’ambiente o dei servizi pubblici. Soltanto nel 2014, i casi noti (esistono anche quelli ignoti) in cui le aziende hanno denunciato uno Stato sono 42. Il Trattato sulla Carta dell’Energia è diventato l’accordo che ha scatenato il maggior numero di cause, sorpassando il NAFTA (patto di libero scambio tra Canada, USA e Messico). Il numero totale di casi ISDS conclusi è 356 e i dati non sono incoraggianti. Il 37% delle cause sono state vinte dai governi, il 25% dagli investitori e nel 28% si è patteggiato. Questo significa che lo Stato, cioè milioni di contribuenti, ha dovuto fare concessioni a un investitore privato in più della metà dei processi. Numeri destinati a crescere: sommando ai casi chiusi quelli ancora aperti, infatti, il totale sale a 608, con 101 governi inquisiti in tutto il mondo. Tra essi, è ufficiale, anche quello italiano.Il MiSE aveva dichiarato al Sole24Ore che l’uscita dall’Energy Charter Treaty avrebbe fatto risparmiare 370 mila euro l’anno: una cifra piuttosto risibile per giustificare l’abbandono di un accordo internazionale tra 49 Stati siglato nel 1994. Tuttavia, pur uscendo dalla ECT, l’Italia – se condannata – pagherà lo stesso. Ai sensi dell’articolo 47 del Trattato, l’accordo resterà in vigore per 20 anni ancora dopo il recesso, applicandosi agli investimenti energetici effettuati prima della data di interruzione. Se il verdetto non sarà favorevole al nostro Paese, pertanto, le aziende verranno compensate con il denaro dei contribuenti. E sarà così per i prossimi 20 anni. Perché l’Italia non si schiera apertamente contro l’ISDS? Le ragioni ci sarebbero: esso prevede la creazione di una giurisdizione parallela e privata ad uso delle aziende estere, con conseguente vantaggio competitivo sugli investitori locali, costretti a sporgere querela presso le corti ordinarie. Nell’arbitrato internazionale, inoltre, il pubblico può ricoprire soltanto il ruolo dell’imputato, mai dell’accusatore. La prudenza italiana nel contrastare uno strumento in grado di ribaltare la struttura democratica di un Paese è dovuta ad interessi che vanno al di là dell’energia. Il sostegno incondizionato che Renzi ha giurato ad Obama sul TTIP, l’immenso accordo di libero scambio tra USA e UE in fase negoziale, è un buon indizio. Guarda caso, anch’esso dovrebbe contenere una clausola ISDS.

 

Solar impulse 2, scommessa vinta

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Alle 18 esatte, ora di Roma, di venerdì 3 luglio è atterrato all’aeroporto di Kalaeloa nelle isole Hawaii, l’aereo Solar Impulse 2 dopo un volo senza scalo di 8300 chilometri dal Giappone, iniziato domenica scorsa alle otto di sera, ora di Roma. All’arrivo era l’alba di una giornata in cui splendeva ancora la luna piena. Gli applausi hanno accolto il pilota, André Borschberg, che ha volato da solo, in una cabina di tre metri cubi, per cinque giorni e cinque notti nei quali ha dormito in tutto 40 ore a brevi intervalli. Il volo ha vari aspetti singolari. Questa Giappone-Hawaii è l’ottava tappa di un giro intorno al mondo dell’aereo progettato dallo svizzero Bertrand Piccard, funzionante soltanto con l’energia solare. Le ali, lunghe 72 metri, sono coperte da 17.000 celle fotovoltaiche ad alto rendimento. La radiazione solare assorbita durante il giorno in parte aziona i quattro motori elettrici a elica e i servizi di bordo, in parte ricarica quattro batterie di accumulatori a ioni di litio, la cui energia serve durante la notte ad azionare i motori.

Chiunque attraverso Internet ha potuto seguire, ora per ora il volo attraverso il sito del progetto.

Si poteva così conoscere, come se si fosse stati al fianco del pilota solitario, lo stato di ricarica delle batterie, la temperatura esterna, l’altezza che variava da 8000 metri durante il giorno, per assorbire bla massima quantità di energia solare, a 2000 metri di notte.

E’ stato così possibile constatare per cinque giorni e notti consecutive la regolarità dei cicli di carica e scarica delle batterie di bordo, il che conferma le favorevoli prospettive di un sistema di accumulo dell’energia elettrica anche per impianti fotovoltaici a terra. La potenza erogata alternativamente dalle fotocelle di giorno o dalle batterie di notte è stata di circa 15 chilowatt.

Ma l’aspetto più singolare e direi emozionante è stato offerto dal pilota che ha volato nella più lunga traversata aerea in solitario della storia. Charles Lindbergh nel suo fragile aereo ad elica nel 1927 aveva attraversato da solo i 5800 chilometri dell’Oceano Atlantico in 33 ore. Borschberg nella sua transvolata dell’Oceano Pacifico poteva contare soltanto sull’energia del Sole, con problemi di alimentazione e anche fisiologici, che hanno richiesto nuove soluzioni ingegneristiche.

Il volo di Solar Impulse 2, e soprattutto questa tappa attraverso il Pacifico, hanno aperto nuove strade all’ingegneria aeronautica, alla tecnologia dei materiali da costruzione, alla fisiologia del volo umano e all’uso dell’energia solare.

 

Eolico marino, sbloccato a Taranto il 1° impianto Mediterraneo

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Via libera al primo impianto di eolico marino del Mediterraneo. Con una recente sentenza il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del Comune di Taranto contro la fattoria eolica Near Shore (a circa 100 metri dalla costa) della Beleolico. La vicenda ha origini lontane nel tempo, dal momento che il progetto era stato presentato nel 2008; a Luglio 2012 aveva ottenuto parere positivo per la Via e la Vas da parte del Ministero dell’Ambiente, respingendo il parere negativo allora presentato dalla Regione Puglia assieme alla Sopraintendenza dei beni paesaggistici. Si era quindi fatto avanti il Comune di Taranto, anch’essi contrario alla wind farm, che aveva presentato ricorso al TAR di Lecce adottando, tra le motivazioni, l’illegittimità del provvedimento. Ricorso bocciato dal tribunale regionale pugliese con la conferma ora in secondo grado da Palazzo Spada; il Consiglio di Stato, infatti, ha respinto il ricorso del Comune contro la sentenza del Tar, sbloccando così l’iter di questo progetto da 63 milioni di euro.

A regime la centrale conterà dieci aerogeneratori posti su torri alte 110 metri, della potenza complessiva di 30 MW e sarà situata tra punta Rondinella e la foce del fiume Tara, a sette chilometri dal centro del comune in un’area che è al di fuori dei siti di interesse nazionale o comunitario così come dalle zone protezione speciale; un cavo sottomarino lungo circa due chilometri trasporterà l’energia prodotta sulla terra ferma, energia che dovrebbe essere sufficiente a rendere il porto di Taranto energicamente autosufficiente. E come ha ricordato solo qualche giorno fa Legambiente non si tratta neppure dell’unico impianto di eolico marino progettato per le acque pugliesi. All’attivo risultano essere state presentate, e bloccate, altre sei wind farm nel Golfo di Manfredonia, a Campomarino, a largo di San Pietro Vernotico e a Tricase nelle cui acque si sarebbe dovuto istallare un impianto eolico sperimentale galleggiante.

 

Exxon sapeva del cambiamento climatico 7 anni prima

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Per decenni l’industria del tabacco ha negato il legame tra il fumo e l’insorgenza del cancro. Lo stesso ha fatto Exxon, la più grande compagnia petrolifera del mondo, con il cambiamento climatico. Già nel 1981, sette anni prima che diventasse una questione pubblica, il colosso americano conosceva lo scenario che stava contribuendo a delineare, eppure da quel giorno, per oltre 27 anni, ha negato l’esistenza del riscaldamento globale causato dall’uomo. Non solo: secondo Greenpeace avrebbe speso 30 milioni di dollari per finanziare ricerche che rafforzassero la propria posizione.

La nuova onda di sdegno internazionale che cala su Exxon è stata sollevata da una email scritta da uno degli esperti legati alla società, sollecitato da una richiesta di informazioni sull’etica aziendale dell’Institute for Applied and Professional Ethics dell’Università dell’Ohio. La missiva fornisce la prova che la compagnia era a conoscenza del legame tra combustibili fossili e cambiamento climatico, così come sapeva che regolamenti restrittivi sulle emissioni di carbonio avrebbero potuto danneggiare il suo business, che in quegli anni si concentrava per una discreta parte nello sfruttamento di un enorme giacimento di gas nel Sud-Est asiatico. Il sito, denominato East Natuna, si trova al largo delle coste dell’Indonesia e contiene 6.300 miliardi di metri cubi di gas naturale.

«Exxon si è interessata al cambiamento climatico nel 1981 perché stava cercando di sviluppare il giacimento di gas Natuna al largo dell’Indonesia – ha scritto nella email, pubblicata in un dossier della Union of Concerned Scientists, l’ex esperto di clima di Exxon, Lenny Bernstein – Si tratta di un’immensa riserva di gas naturale, che contiene però CO2 per il 70%». Che va separata dal metano e smaltita in sicurezza. Ma nel 1981 non si andava molto per il sottile in quest’ultimo passaggio, considerato un costo aggiuntivo.

Bernstein è un ingegnere chimico esperto di clima, autore principale di due relazioni scientifiche dell’IPCC. Era chiaro che, se sviluppato, il bacino Natuna sarebbe diventato una «bomba di carbonio», ha detto l’ingegnere. La CO2 che è stata bruciata e diffusa in atmosfera ha reso il sito la più grande fonte globale di emissioni, con circa l’1% del totale.

 

Addio petrolio! La plastica green si fa con il gas serra

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Quando si pensa alla plastica di certo non vengono in mente parole come “sostenibilità” o “ecocompatibile” ma l’azienda californiana Newlight Technology ci dimostra che esiste la plastica greenche non ha nulla da invidiare ad altri materiali considerati rinnovabili in quanto a sostenibilità.

75 prodotti in plastica Aircarbon che produce l’azienda sono realizzati trasformando il gas serra – che proviene da allevamenti, discariche, stabilimenti industriali o dal fracking – in un polimero legando le molecole dell’aria, quelle di un biocatalizzatore e quelle del metano presente in atmosfera. Questo processo sottrae carbonio all’ambiente per mettere in commercio prodotti industriali, edili e rivestimenti con le stesse caratteristiche delle plastiche tradizionali.

“E’ nostra convinzione che il cambiamento climatico non si risolverà con sovvenzioni o tasse. Pensiamo che l’unico modo per arrestare il cambiamento climatico nel tempo e alla scala necessaria è attraverso soluzioni di mercato.” Ha spiegato il co-fondatore dell’azienda Mark Herrema.

Per questa ragione l’azienda dal 2003 sta lavorando sull’efficienza del sistema per ridurre la quantità di biocatalizzatore necessaria per produrre 1 chilogrammo di plastica green. Dopo più di un decennio la Newlight Technologies è passata da un chilo di plastica ogni chilo di biocatalizzatore a 9 kg di polimeri ogni chilogrammo, con un processo meno costoso di quello tradizionale. Dopo tutti questi anni di lavoro sul progetto l’azienda ha finalmente lanciato sul mercato Aircarbon, l’alternativa sostenibile al polipropilene e al polietilene.

L’ultimo obiettivo di produzione dell’azienda californiana è 22,7 milioni di kg di plastica all’anno ma i fondatori sono molto ambiziosi e sperano di raggiungere i 27,2 miliardi di chilogrammi annui di plastica a carbonio negativo. Se questi programmi si realizzeranno non passerà molto tempo prima che la plastica green venga citata tra i materiali sostenibili che, proprio come fa il legno, sottraggono carbonio all’aria.

 

7°                 

Sindrome Nimby addio, l’eolico si integra nei ponti

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Per l’eolico è arrivato il momento di sperimentare innovative forme di integrazione edilizia. A segnare la strada è PAINPER, un piano per l’utilizzo delle infrastrutture pubbliche nella promozione delle energie rinnovabili. Tra gli elementi clou di questa nuova iniziativa europea c’è anche l’incredibile progetto anglo-spagnolo che sta indagando la fattibilità di integrare le turbine eoliche nella struttura dei grandi viadotti. Il test, per ora ancora completamente virtuale, è stato effettuato prendendo come punto di riferimento il viadotto Juncal, in Gran Canaria. Un team di ricercatori spagnoli e britannici ha raccolto dati e valutato se il vento che passa tra i pilastri di questa infrastruttura possa davvero essere sfruttato in maniera efficiente per la produzione di energia elettrica.

Lo studio si basa su modelli e simulazioni computerizzate effettuate da Oscar Soto e dai suoi colleghi della Kingston University (Londra). Gli scienziati hanno progettato turbine simili a dischi porosi per valutare la resistenza dell’aria e testare diversi tipi di configurazioni. “Naturalmente, più superficie copre il rotore, più energia può essere estratta; tuttavia, abbiamo visto che nelle piccole turbine il rapporto potenza/m2 è più alto”, ha affermato Soto, spiegando che la configurazione più adatta per l’integrazione dell’eolico nei viadotti sarebbe quella di due turbine identiche. “Così si avrebbe un migliore equilibrio, sia in termini strutturali che elettrici”.

I risultati confermano che ogni cavalcavia presenta delle specifiche potenzialità eoliche. Nel caso del viadotto Juncal, si potrebbe istallare una potenza di 0,5 MW totali. “Questo sarebbe sufficiente a soddisfare le esigenze elettriche di 450-500 case a consumo medio”. Inoltre questo tipo di installazione potrebbe incontrare maggiormente il favore di chi oggi si oppone alla tecnologica eolica su larga scala, dal momento che non impatta direttamente sul territorio. Forse ai più attenti, la ricerca potrà riportare alla memoria Solar Wind, il progetto italiano presentato qualche anno fa al concorso Parco Solare Sud. L’idea era pressoché simile: combinare in un’unica struttura – in questo caso i cavalcavia della Salerno-Reggio Calabria – la produzione di energia eolica e quella di energia solare. Il progetto, classificatosi secondo al concorso, prevedeva tra le altre cose di installare tra i piloni 26 turbine eoliche.

 

Facciate intelligenti: quella di Chao Chen si chiude a contatto con l’acqua

(fonte www.rinnovabili.it)

 

L’ultimo arrivato nella famiglia delle facciate intelligenti è l’elegante rivestimento disegnato dal product designer cinese Chao Chen.

Questa facciata biomimetica ha copiato il funzionamento dalle pigne, che si aprono in ambiente secco e si chiudono per proteggere i pinoli quando piove, per aumentare le prestazioni delle facciate.

Ingegneria della natura, funzionalismo ed estetica si fondono in un materiale sorprendente che in maniera del tutto naturale e sostenibile senza elettricità permette agli edifici green di migliorare le proprie caratteristiche senza aumentare i consumi.

La facciata Water Reaction di Chao Chen permette il passaggio di aria e luce quando il clima è favorevole e protegge gli ambienti interni da acqua ed umidità in caso di pioggia senza consumare neanche un kilowattora. Questo perché le lamelle di cui è composta sono in grado di misurare il livello di umidità e cambiare forma automaticamente. Le piastrelle in laminato water reacting riescono a capire autonomamente quando inizia a piovere e senza nessun controllo dall’esterno schermano la facciata per evitare il passaggio dell’acqua e si aprono per far splendere il Sole all’interno nei giorni sereni. Nelle città molto piovose il funzionamento è inverso: quando piove le facciate intelligenti si aprono per permettere l’ingresso della luce solare, nei giorni di Sole invece le piastrelle schermano il prospetto per evitare il surriscaldamento degli ambienti interni. I piccoli esagoni con i raggi che dal centro collegano gli angoli si aprono automaticamente diventando forme composte da tre rombi accostati, che abbelliscono la facciata con un disegno minimalista dal sapore orientale. Chao Chen ha usato la stessa tecnologia delle facciate intelligenti per creare un valido strumento per giardini e pareti verdi; un indicatore che cambia forma e colore in base al grado di umidità del terreno per aiutare i manutentori a capire se è il caso di innaffiare o meno le piante.

 

Smart city: le prove generali si fanno senza umani

(fonte www.rinnovabili.it)

 

In New Mexico sarà costruita una vera e propria cittadina per testare tutte le tecnologie di una smart city: ci saranno uffici, strade, case, chiese, parchi, industrie e scuole. L’unica cosa che mancherà saranno i cittadini.

La Pegasus Global Holdings ha deciso di investire un miliardo di dollari nella costruzione della città intelligente per realizzare un laboratorio a cielo aperto e testare, monitorare e migliorare le tecnologie delle smart city senza causare disagi ai cittadini.

La costruzione del  Center for Innovation Testing and Evaluation (Cite) inizierà nel deserto in autunno con un investimento iniziale di 600 milioni di dollari (più di 540 milioni di euro). La cittadina del futuro avrà un’autostrada, sistemi di telecomunicazione, un’area suburbana, reti di distribuzione e tutti i servizi di un tipico centro urbano americano. In cinque anni il villaggio crescerà di dimensioni e complessità fino a raggiungere il completamento che permetterà gli esperimenti più approfonditi.

Il progetto ha sollevato le critiche di alcuni esperti che hanno obiettato che eliminare l’elemento umano – per sua natura imprevedibile – sfalserà lo studio sulla fattibilità delle tecnologie della smart city.

“Una delle cose più difficili da fare quando si stanno sviluppando queste nuove tecnologie è provarle in modo sicuro in mezzo alla persone, i cui movimenti sono imprevedibili”, ha spiegato Reese Jones dellaSingularity University.

“Se l’esperienza umana è una parte fondamentale del test, possiamo inserire le persone in qualsiasi momento”, ribatte Bob Brumley della Pegasus Global Holding.

Gli esperimenti testeranno approfonditamente i sistemi di trasporto intelligenti come i veicoli senza conducente e il traffico gestito attraverso internet delle cose, la produzione di energia alternativa dalle fonti solari e la geotermia, le smart grid, la raccolta e l’analisi di dati su scala urbana ed i sistemi di sensori per il monitoraggio e la sicurezza delle persone.

 

 

10°

Fracking: le emissioni di metano sono ampiamente sottostimate

(fonte www.rinnovabili.it)

 

Il boom del gas naturale provocato dal fracking negli Stati Uniti starebbe generando molte più emissioni di gas serra rispetto alle stime dell’Agenzia di protezione ambientale (EPA). Sono le conclusioni di un nuovo studio coordinato dall’Environmental Defense Fund, che ha riunito 11 team di ricerca i quali hanno esaminato le operazioni di fracking nel Barnett Shale, una zona ricca di petrolio e gas naturale nel Nord Texas. Gli esperti hanno scoperto che trivellazioni provocano fughe di metano oltre il 50 per cento superiori a quelle conteggiate dall’EPA, il che significa che le valutazioni dell’Agenzia nazionale sono sbagliate, con ogni probabilità, anche negli altri casi.

Molte preoccupazioni circondano l’estrazione del gas naturale, da tempo accusate di favorire perdite di metano, cui si sommano quelle che avvengono durante le operazioni di trasporto. Anche se si tratta di un gas che rimane in atmosfera per un minor lasso di tempo rispetto alla CO2, il suo contributo al cambiamento climatico su un periodo di 20 anni è 86 volte maggiore.

La ricerca ricalca e conferma le conclusioni di lavori precedenti, che hanno già dimostrato come le stime dell’EPA siano inattendibili. Se l’Agenzia ha intenzione di valutare seriamente le emissioni di metano, deve necessariamente calcolare le anomalie che non registra, senza dare per scontato che tutte le aziende operino nel rispetto delle normative più stringenti.

In realtà, sta lavorando per scrivere nuove regole che possano ridurre al minimo le fughe di metano dai pozzi. Il progetto fa parte del più ampio piano d’azione sul clima di Obama. Il regolamento, tuttavia, non terrà conto di oltre un milione di pozzi attualmente in funzione, cosa che preoccupa non poco il mondo dell’ambientalismo. L’EPA non ha ancora chiarito esattamente la natura di questo pacchetto normativo: quel che si sa è stato già detto a gennaio dall’amministrazione, che ha fissato un obiettivo di riduzione delle emissioni di metano dal settore petrolifero e del gas di un 40-45% rispetto ai livelli 2012. Un target molto difficile da raggiungere se si calcolano quelle relative a pochissimi pozzi in tutta la nazione.

 

11°

Fotovoltaico: dopo sospensione DTR arrivano nuove regole

(fonte www.rinnovabili.it)

 

“Facendo seguito alle lettere inviate negli scorsi giorni alle associazioni aderenti a Free, Assorinnovabili e Ater, il Gse con una comunicazione sul suo sito ha sospeso l’efficacia delle controverse regole per gli interventi di manutenzione e modifica degli impianti fotovoltaici in esercizio”. Esultano le associazioni rappresentate nel Coordinamento per la decisione del GSE di sospendere del tutto il Documento tecnico di riferimento (DTR) sul mantenimento degli incentivi agli impianti fotovoltaici in Conto Energia. Nel dettaglio stabiliva che gli impianti oggetto di modifica dovessero mantenere i requisiti che hanno consentito l’accesso agli incentivi, rideterminando però  tariffa incentivante, nel caso fossero modificate le caratteristiche in base alle quali è stato determinato il valore della stessa.

Fin dalla sua prima apparizione il DTR aveva suscitato non poche critiche. Critiche che avevano spinto i senatori Girotto e Castaldi (M5S) a presentare, quest’aprile un’interrogazione al ministro dello Sviluppo Economico, nella quale si evidenziava come la proposta di un tetto all’energia incentivabile prodotta dagli impianti fotovoltaici non sia: “riconosciuta negli ambiti e nelle competenze proprie del GSE che sono di esclusivo tipo regolamentare e non legislativo, come nel caso del documento tecnico proposto che andrebbe a modificare retroattivamente il contratto stipulato tra lo Stato italiano ed i cittadini italiani attraverso il conto energia, che non menziona alcun tetto di produzione ai fini dell’incentivazione della produzione di energia”.

Dall’analisi del testo erano emersi  significativi punti critici, che non riguardavano solo l’introduzione di soglie massime di energia incentivata oppure a limitazioni in via generale agli interventi ammissibili, ma anche la tempistica di attuazione del tutto. Il Gestore, che nei giorni scorsi aveva già rinviato al 30 settembre il termine per le domande arrivando anche a sospendere uno dei passaggi più criticati del Dtr, ha deciso di intervenire in maniera definitiva sul documento. “Continua il dialogo tra il GSE e le principali associazioni degli operatori sul Documento Tecnico di Riferimento (DTR) che regola il mantenimento degli incentivi in Conto Energia”, scrive in una nota stampa. “In attesa che il confronto si concluda e in considerazione del fatto che la materia potrebbe trovare specifica regolamentazione nell’ambito del nuovo decreto FER, il GSE ritiene opportuno sospendere l’efficacia del DTR. Pertanto gli operatori, relativamente a interventi su impianti incentivati e alle attinenti comunicazioni e obblighi, sono tenuti al rispetto di quanto stabilito nei Decreti di riferimento e nella disciplina attuativa”.

Le nuove norme dovrebbero arrivare quindi con l’atteso decreto sulle rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico, che detta le regole in base alle quali il GSE dovrà aggiornare le procedure per l’effettuazione di interventi di manutenzione e ammodernamento degli impianti incentivati.

 

12°

Eolico, in Danimarca il vento ha coperto il 140% della domanda

(fonte www.rinnovabili.it)

 

La Danimarca non è nuova ai record dell’energia del vento. Ma quello che è stato raggiunto dalla nazione in questi giorni ha molto più del semplice gusto della conferma. lo scorso giovedì 9 luglio, iparchi eolici danesi hanno prodotto così tanta energia da, non solo, soddisfare completamente il fabbisogno elettrico nazionale, ma anche da costringere la rete a convogliare oltre confine il surplus. In una giornata insolitamente ventosa, le turbine danesi hanno regalato al Paese il 116% della sua domanda elettrica, che si è trasformato addirittura nel 140% alle 3 di mattina del giorno successivo, grazie al fisiologico calo dei consumi. I dati sono riportati nero su bianco nel sito web di rete danese – energinet.dk  – che fornisce un resoconto minuto per minuto della produzione rinnovabile immessa nella rete dello Stato Europeo. Si scopre così un fatto ancor più interessante: data la particolare intensità delle raffiche di vento (che costringono molti operatori a ridurre la potenza di picco per evitare malfunzionamenti), i  48 GW di eolico istallati nella nazione non stavano neppure funzionando a pieno regime.

Cosa farne con l’energia in eccesso? Semplice, la si stocca oltreconfine grazie alle infrastrutture di interconnessione: l’80% del surplus eolico è finito, in parti uguali, negli impianti idroelettrici a pompaggio di Germania e Norvegia. La restante quota parte invece è stata esportata in Svezia. In realtà di tali prestazioni non c’è neanche da mervigliarsi troppo. Già nel 2013 il Paese aveva fatto parlare di sé, con oltre la metà del consumo energetico soddisfatto dall’eolico per un intero mese. “Ciò dimostra che un mondo 100% alimentato da energia rinnovabile non è fantasia”, ha commentato al Guardian Oliver Joy, un portavoce dell’European Wind Energy Association. “L’energia eolica e le fonti rinnovabili possono essere una soluzione di decarbonizzazione e anche fornire la sicurezza dell’approvvigionamento in periodi di forte domanda”. E l’obiettivo del Governo di rifornirsi di sola energia rinnovabile nel medio termine si fa sempre più vicino.

 

13°

L’inquinamento atmosferico può innescare devastanti alluvioni

(fonte www.rinnovabili.it)

 

L’inquinamento atmosferico può dare origine ad alluvioni devastanti, capaci di sconvolgere comunità di milioni di persone e causare danni economici incalcolabili. Lo stabilisce una ricerca del Pacific Northwest National Laboratory, che ha studiato l’impatto delle emissioni inquinanti nel bacino del Sichuan, in Cina, dove piogge torrenziali causarono effetti catastrofici nel 2013. In quell’alluvione morirono 200 persone, con centinaia di dispersi, 2.300 sfollati e decine di città in blackout, con le strade sommerse da una mole d’acqua immensa. 6 milioni di persone videro sconvolta la propria vita dal peggiore fenomeno atmosferico che la regione aveva mai subìto negli ultimi 50 anni.

Lo studio è stato pubblicato su Geophysical Research Letters e rilanciato da Nature. Spiega che il particolato assorbe il calore del sole, stabilizza l’atmosfera e sopprime le tempeste locali durante il giorno. Tuttavia, l’aria fortemente umida e calda prosegue il suo percorso verso le zone di montagna, sulle quali avviene il rilascio di precipitazioni estreme nottetempo.

«Abbiamo scoperto un meccanismo che potrebbe far degenerare una normale pioggia in un grave evento atmosferico, in particolare nelle zone di montagna che si trovano sottovento, dove le tempeste possono essere attivate ​​dalla topografia», ha detto il dottor Jiwen Fan, scienziato atmosferico e autore principale dello studio.

L’inquinamento è cresciuto esponenzialmente in aree a forte sviluppo economico, come Cina e India, che tuttavia non hanno contromisure per far fronte agli eventi estremi. Il bacino del Sichuan non è l’unico luogo del mondo in cui si possono verificare queste alluvioni: qualunque zona simile per livelli di inquinamento e topografia può subire il verificarsi del fenomeno. Pertanto, secondo il team di ricerca, collegare emissioni e aumento delle piogge torrenziali è un passo avanti che metterebbe in condizione i decisori politici di agire con misure di riduzione dell’inquinamento a livello locale.

La ricerca conclude infatti che tagliare l’inquinamento nel bacino del Sichuan avrebbe alleviato non poco la gravità dell’evento occorso nel 2013.

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