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Dragaggio

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Dragaggio

Operazione di scavo eseguita da un galleggiante mobile (battello-draga) mediante draghe (macchine escavatrici) per asportare sabbia, ghiaia e detriti da un fondo subacqueo, sia in acque marine poco profonde sia in zone d’acqua dolce, e rilocarli altrove.

Da un punto di vista tecnico, il dragaggio si compone di 3 fasi:

  • escavazione o rimozione;
  • trasporto;
  • deposito (temporaneo o “permanente”).

Nella prima fase di escavazione o rimozione, oltre al dragaggio tradizionale, distinguiamo un’altra tipologia di dragaggio: il dragaggio ambientale. A loro volta, sia il tradizionale che l’ambientale, possono essere di 2 tipi: 

  • dragaggio idraulico, applicabile su materiale debolmente compattato, basato sull’aspirazione di sedimenti mediante tubi a suzione che creano una depressione nella zona di aspirazione, causando una modesta risospensione del materiale. Le principali tecniche di dragaggio idraulico tradizionale sfruttano draghe che fanno uso di pompe centrifughe per sollevamento e trasporto orizzontale come draghe aspiranti, draghe a strascico, etc.;
  • dragaggio meccanico, applicabile su materiale sciolto, duro o compattato e si basa sull’impiego di draghe e benne. Le principali tecniche di dragaggio meccanico vedono l’impiego di draghe a secchie, draghe a benna mordente, draghe a cucchiaio.

Con il concetto di dragaggio ambientale viene rappresentata l’evoluzione tecnologica del dragaggio tradizionale che si differenzia sostanzialmente per la minore torbidità (importante poiché evita di contaminare l’ambiente circostante), minori consumi d’acqua di processo e massima sicurezza grazie all’assenza di contatto tra gli operatori e il materiale contaminato.

Nella seconda fase, il trasporto, i materiali scavati con draghe vengono trasportati dalle tubazioni fino al sito di deposito della miscela acqua-sedimento; mentre, i materiali scavati con benne, possono essere caricati su bette, ovvero galleggianti con stiva di carico e tenuta stagna.

Infine, nella fase di deposito, si provvede a stoccare il materiale in zone provvisorie o in zone permanenti. Il deposito in zone provvisorie sarà possibile solo dove la morfologia del territorio circostante lo consente e quando le caratteristiche fisico-chimiche del sedimento rimosso e stoccato ne consentono il riutilizzo come inerte per opere quali ripristino/recupero ambientale, acquacoltura, ricoprimento discariche, controllo erosione e stabilizzazione della linea di costa, produzione di mattoni o ceramiche, etc..; il deposito in zone permanenti, invece, necessita di zone con caratteristiche analoghe alle provvisorie, ma con accorgimenti che ne consentano l’eventuale isolamento.

In alternativa è possibile il deposito in acque aperte, ovvero in laghi, estuari o in mare aperto, per mezzo di tubazioni, di draghe a tramoggia o pontoni e ricoprimento con uno strato di inerte; tale alternativa è possibile solo per sedimenti con modesta presenza di inquinanti.

Oppure un’altra modalità è il deposito in aree confinate, come le casse di colmata, che consiste nello scarico del materiale in zone vicine alla riva e confinate appositamente o sulla terraferma o in aree poste su isole artificiali; il materiale depositato può subire consolidamento con rilascio interstiziale.


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